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mercoledì 14 novembre 2007

Dossier Telecom / 1 - Le intercettazioni illegali


(Nella foto, il best seller del quartiere Bicocca e dintorni)
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(Dossier del Drago di Cheb - www.ju29ro.com/)
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Avvertenza per i lettori: questa ricostruzione dello scandalo Telecom-Spy è da considerare come un semplice riassunto di quanto apparso sugli organi di stampa. Non siamo giornalisti e non abbiamo informazioni privilegiate, quanto da noi scritto è facilmente reperibile leggendo i numeri arretrati de Il Corriere della Sera, La Stampa, La Repubblica, L’Espresso, Panorama e di tutti gli altri giornali e settimanali italiani.

La ricostruzione completa conterà di 4 o 5 articoli, che appariranno periodicamente sul sito, con questi titoli:

1) Telecom-spy: la genesi;

2) Telecom-spy: l’evoluzione;

3) Telecom-spy: la situazione attuale dell’inchiesta;

4) Telecom-spy: Le connessioni con il mondo del calcio;

5) Telecom-spy: Gli scandali “telefonici” degli ultimi anni e gli inquietanti interrogativi ad essi collegati


TELECOM-SPY

1° parte: la genesi dell’inchiesta che rischia di sconvolgere l’Italia


"L'Italia - e non solo l'Italia del Palazzo e del potere - è un Paese ridicolo e sinistro: i suoi potenti sono delle maschere comiche, vagamente imbrattate di sangue "contaminazioni" tra Molière e il Grand Guignol"

Pier Paolo Pasolini, “Lettere Luterane”


Il caso Telecom-spy nasce da una piccola inchiesta, un’indagine riguardante alcune gare d’appalto indette dal Comune di Milano per la “vigilanza privata” dei parchi pubblici.

Una classica storia all'italiana a base di malvessazione e corruttela, ma che nasconde inaspettatamente un inquietante risvolto: il 16 novembre 2003, durante una perquisizione, i Carabinieri scoprono con stupore che il presidente della società vincitrice dell'appalto aveva avuto modo di conoscere in presa diretta le mosse della Procura che, in quel momento, ne stava indagando le mosse.

Era spuntato il germe del dubbio, il sospetto che la Procura della Repubblica di Milano venisse segretamente spiata.

Qualche mese più tardi, il 31 Marzo del 2004, il Presidente di questa società viene arrestato insieme alle sue due insospettabili “talpe”, una cancelliera dell’ufficio dei Gip e (addirittura) un giudice onorario. Al processo le “talpe” si arrendono subito e patteggiano la pena, ma la loro condotta processuale si dimostra quanto mai preziosa per la Procura milanese perché consente ai Magistrati di non svelare tutte le prove che saranno successivamente usate per assestare il primo vero colpo decisivo all’inchiesta.

Il 13 maggio 2004, otto arresti scuotono l’intero gruppo Ivri (Istituti vigilanza Riuniti d’Italia), allora numero uno in Italia nel business della sicurezza privata. Anche in questo caso l’accusa, in sostanza, è quella di corruzione nell’ambito di appalti per la vigilanza. Ma vi è una circostanza che sconvolge i Magistrati: le intercettazioni disposte per far luce sul caso dimostrano come gli indagati fossero assolutamente convinti di poter controllare le mosse della Procura. La storia si ripete e i Magistrati acquisiscono la certezza dell’esistenza di una nuova talpa (ancora oggi non individuata) al Palazzo di Giustizia di Milano.


L’inchiesta a questo punto sembra improvvisamente rallentare (sarà una costante del modo di operare dei giudici di Milano) ma clamorosi colpi di scena sono alle porte.

Il 4 Maggio del 2005 entra infatti in scena il “re delle intercettazioni” Giuliano Tavaroli, ex Carabiniere e capo della security di Telecom Italia. Insieme a lui viene coinvolto anche il suo amico Emanuele Cipriani, massone dichiarato e imprenditore nel settore delle investigazioni private e della security aziendale. Le indagini si infittiscono e vengono perquisiti gli uffici e le abitazioni private dei due, con l’accusa di Associazione a delinquere finalizzata alla violazione del segreto istruttorio.

L’inchiesta, che inizialmente sembrava un affare di secondo piano, comincia ad assumere scottanti ed imprevisti risvolti. Questo soprattutto grazie alla figura di Tavaroli, elemento cardine nell’universo Telecom, ma non solo. L’ex Brigadiere dell’antiterrorismo di Milano, infatti, oltre a dirigere la security di Telecom Italia, ricopre un altro, importantissimo, ruolo: responsabile del Centro Nazionale Autorità Giudiziaria (CNAG), ovvero dell’ente che gestisce tutte le intercettazioni richieste dalla Magistratura. A questo proposito, è assai importante ricordare che fu proprio il Tavaroli a spingere affinché questo delicatissimo incarico gli fosse affidato in prima persona, togliendolo dalla competenza dell’ufficio Legale Telecom di Roma.

Sui fatti, le circostanze e le fonti di prova che hanno portato alla formulazione della grave accusa summenzionata i Magistrati cercano di mantenere il più stretto riserbo ma alcuni giornalisti riescono però a comprendere che, alla base di tutto, c’è qualcosa di molto grosso: una vera e propria centrale di ascolto non autorizzata in grado, quantomeno, di lanciare un allarme “intercettazioni” nel momento in cui l’autorità giudiziaria avesse disposto questo tipo di provvedimento nei confronti di indagati eccellenti. Una sorta di “airbag” a protezione di personaggi di spicco della classe dirigente.

Lo stesso Tavaroli in un'intervista rilasciata a La Stampa di Torino spiega così l’inchiesta della magistratura milanese: «Tutto nasce da un indagine sull’Ivri, un istituto di vigilanza privata. Durante una telefonata intercettata tra un certo Di Ganci, titolare della Sipro (un'altra società di vigilanza privata, ndr), e un suo interlocutore, viene fuori il mio nome, indicato come quello che poteva avvisarli di indagini in corso».

Intanto la Telecom Italia di Marco Tronchetti Provera, alla notizia dell’indagine nei confronti di un suo manager a capo di uno dei settori nevralgici della società, reagisce alquanto ambiguamente: Tavaroli viene rimosso dall’incarico nell’azienda telefonica (con la quale continuerà comunque a svolgere attività di consulenza esterna) ma ne ottiene un altro, sempre internamente al perimetro del gruppo tronchettiano: responsabile della Pirelli in Romania.

Il secondo perno sul quale si volge l’attenzione della Procura milanese è Emanuele Cipriani, proprietario della società investigativa Polis d’Istinto. Il suo coinvolgimento nel caso dipende da due circostanze che hanno dell’incredibile.

Nel settembre del 2004 un grosso rivenditore di pneumatici di Viterbo riceve la “visita” di due finanzieri, che ne rovistano gli uffici e ne controllano i registri contabili. I modi evidentemente inconsueti dell’ispezione suscitano il sospetto del titolare che si mette direttamente in contatto con la Guardia di Finanza, la quale nega l’esistenza di accertamenti sull’azienda. Il successivo e tempestivo intervento della Polizia riesce a bloccare i due finanzieri fasulli che, si scoprirà poi, altro non erano che “incaricati” della Polis d’Istinto, giunti sul luogo per controllare il rivenditore per conto della Pirelli.

Qualche tempo dopo, il pm meneghino Fabio Napoleone ottiene in incarico un’inchiesta giacente da tempo in Procura, riguardante una denuncia sporta da un ex dirigente della Coca-Cola, convinto di essere stato pedinato ed intercettato. La conferma ai suoi sospetti giunge allorché gli viene recapitato un plico con all’interno un Cd-Rom contenente la registrazione (illegale) di molte sue telefonate. Un fatto che si rivelerà cruciale nello svolgimento della vicenda e che sconfessa la strana presa di posizione dell’avvocato Guido Rossi che, dopo aver preso il posto di Tronchetti Provera alla presidenza Telecom (settembre 2006) si affannò a diffidare gli organi di stampa dall’accomunare la vicenda Telecom all’esistenza di intercettazioni abusive (secondo Rossi si sarebbe invece trattato “solo” di un traffico illecito di tabulati).

Nel Marzo del 2006, un altro salto di qualità, con l’entrata in scena della politica: da Milano partono 16 ordini di arresto con l’accusa di corruzione di pubblici ufficiali e spionaggio. Tra i fermati figurano anche due “spioni” di società private romane, incriminati per aver tenuto sotto controllo ben 140 utenze telefoniche private e, soprattutto, per aver l’aver disposto uno spionaggio politico ai danni di Piero Marrazzo (candidato per il Centrosinistra) e di Alessandra Mussolini (candidata per Alternativa Sociale). Per Marrazzo i due avrebbero anche tentato di montare uno scandalo a sfondo sessuale (con tanto di reclutamento di un transessuale). Un intrigo che, per l’accusa, sarebbe servito per favorire il candidato del Centrodestra, Francesco Storace, per le imminenti elezioni della Regione Lazio (questo troncone dell’inchiesta, per competenza territoriale, è stato affidato alla Procura di Roma).


(continua...)

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