Oggi il bue grasso non serve più nei campi per il lavoro, e allevarlo, a guardar bene, non è nemmeno così conveniente. Chi lo fa compie un atto d'amore; l'eccellenza assoluta delle sue carni è il risultato, ottenuto con il lavoro e il savoir faire, da preservare insieme alle tradizioni e alla convivialità che veicola. Allevare un bue è un atto agricolo antico, il risultato di un'alleanza con la natura e le sue forze migliori. Il bue grasso è anche un paradosso. Per ottenere un chilo di carne servono 17.000 litri d'acqua. Se tutti consumassimo così, il pianeta salterebbe. Ma siamo di fronte al "barolo" della carne, la fuoriserie che merita di essere prodotta in quantità limitata e venduta a prezzi gratificanti. Il suo letame, poi, sa restituire vita a terreni ormai distrutti. Non è poco se alcuni prestigiosi vignaioli di Langa lo allevano proprio per questo.
A Carrù attorno a questo simbolo si riunisce ogni anno l'umanità legata dai valori ancestrali di una società contadina che però non guarda soltanto al passato. Là sanno che questi riti, punto di arrivo di pratiche produttive tramandate, sono la chiave di un futuro sostenibile e felice: per l'attenzione a certi particolari, e per il culto dell'eccellenza che non sia sinonimo di opulenza ma del volersi bene, con chiara coscienza dei propri limiti. La riprova ne è il brodo, che si consuma alle dieci di mattina, dopo la proclamazione dei vincitori: un'aggiunta di dolcetto lo irrobustisce e ci dà l'esatta misura di quanto siamo fortunati che ci siano ancora allevatori così. È il brodo del bollito che si consumerà poi durante il pranzo della festa, che acquieta ansie divoratorie, garantisce ritualità ai pasti e pacifica i sensi.
A Carrù attorno a questo simbolo si riunisce ogni anno l'umanità legata dai valori ancestrali di una società contadina che però non guarda soltanto al passato. Là sanno che questi riti, punto di arrivo di pratiche produttive tramandate, sono la chiave di un futuro sostenibile e felice: per l'attenzione a certi particolari, e per il culto dell'eccellenza che non sia sinonimo di opulenza ma del volersi bene, con chiara coscienza dei propri limiti. La riprova ne è il brodo, che si consuma alle dieci di mattina, dopo la proclamazione dei vincitori: un'aggiunta di dolcetto lo irrobustisce e ci dà l'esatta misura di quanto siamo fortunati che ci siano ancora allevatori così. È il brodo del bollito che si consumerà poi durante il pranzo della festa, che acquieta ansie divoratorie, garantisce ritualità ai pasti e pacifica i sensi.
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