Piero Valesio
Tuttosport - 29 ottobre 2007
Sempre allegri bisogna stare che il troppo piangere fa male al re. Anche al ricco e al cardinale, se è per questo. Ma la domanda è: chi è il re? Chi è che si turba e viene colto da vampate di cattivo umore se qualcuno osa sostenere che i due rigori concessi da Bergonzi sabato sera al San Paolo sono stato un perfetto esempio di anticalcio e hanno completamente falsato l’esito del match? Ci deve essere, questo re. E deve essere in buoni rapporti con Massimo Mauro. Il quale è stato il più convinto, durante il dopopartita di Napoli-Juve andato in onda su Sky, nel ribattere alla furiose parole di sdegno pronunciate da quel noto polemista che risponde al cognome di Cobolli Gigli. Il presidente bianconero aveva osato lasciarsi andare ad affermazioni pesanti del tipo: speriamo che qualcuno nel Palazzo abbia visto cosa è successo in campo. Il commentatore di Sky non ha gradito: come osa il responsabile di un’azienda sportiva sottolineare che è stato danneggiato sul campo? Erano lacrimucce, non un vero pianto come nella canzone di Jannacci e Fo: ma Mauro si è inalberato lo stesso. Che sia forse perché la Juve non ha l’umile diritto di sottolineare, tra l’altro con un atteggiamento low profile, molto subalpino, che quello che era successo era al limite del comprensibile? Forse il re senza volto ma con corona aveva già iniziato a stranirsi? Fabio Caressa e Beppe Bergomi, in sede di telecronaca, avevano offerto una pregevolissima esibizione di serenità di commento («Serata nerissima dell’arbitro Bergonzi» ha detto il Caressa dopo il secondo rigore farlocco: complimenti) cercando, come si deve fare in questi casi, di sottolineare ciò che è giusto senza per questo indispettire le tifoserie dei vincitori. A maggior ragione l’inalberarsi di Mauro è parso fuori luogo.Tutto sommato ha stupito meno, poco dopo su Rai 2, che un altro ex giocatore abbia messo in scena una sua personalissima (e rispettabile, figuriamoci) visione della realtà sostenendo con una certa pervicacia che il secondo rigore, quello scaturito dal scambio di sguardi fra Buffon e Zalayeta, era in realtà un rigore che andava concesso. Qui l’ottimo Cobolli, con quel volto che pare sempre così estraneo ai livori e alle urla del grande (anzi: grosso) carrozzone calcistico, ha tirato fuori a sua volta la sua indole da palcoscenico ed ha risposto: «Sì, Mazzola». Una frase breve che è parsa degna, per efficacia, di certi assensi cinematografici di Totò o meglio, viste le origini, di Macario. «Sì, Mazzola» diceva Cobolli: e mai espressione fu più efficace. E chissà che a qualcun altro non sia venuto in mente cosa successe in tv molti molti anni fa quando un certo Iuliano Mark intervenne su un certo Ronaldo che, in quell’epoca ancestrale, gestiva a una maglia a strisce nerazzurre verticali: l’urlo di dolore di coloro i quali non portavano (allora) l’ermellino regale a causa del presunto torto subito occupò i media per settimane se non per mesi, coinvolgendo la vita sociale e politica italiana ai massimi livelli. Stavolta si ha come la sensazione che non succederà. Il che certamente sarà un bene visto che il low profile della dirigenza juventina certo non chiede che s’inneschino interminabili processi televisivi. Ma resta un dubbio: fra il presunto re della prima repubblica calcistica e il supposto re della seconda chi è il più potente?
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