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mercoledì 21 febbraio 2007

Il calcio gonfiato andrebbe sanzionato. Il Mago di Ios

La bolla speculativa delle plusvalenze fittizie ha gonfiato a dismisura il valore contabile del parco giocatori delle società di calcio, generando oneri per ammortamenti crescenti e, alla lunga, insostenibili. Questo circolo vizioso ad un certo punto si è interrotto e le società si sono trovate a dover necessariamente svalutare il costo dei giocatori, ormai iscritti in bilancio a valori completamene irrealistici.
In base alle ordinarie regole di contabilità, questa svalutazione – frutto, si badi bene, delle plusvalenze creative degli anni precedenti - avrebbe dovuto essere imputata a Conto Economico, con un conseguente impatto drammatico sul risultato d’esercizio e sul patrimonio netto delle società coinvolte. Si tratta di un aspetto particolarmente delicato. Infatti, l’art. 2447 del codice civile dispone che quando il patrimonio netto scende, per effetto di perdite, al di sotto del minimo legale, la società deve essere necessariamente ricapitalizzata. L’alternativa è la messa in liquidazione.
Il famoso decreto salva-calcio ha dato un’ennesima, anche se temporanea, boccata di ossigeno alle società di calcio, consentendo di spalmare la svalutazione su dieci anni. La maggior parte delle società di Serie A ha approfittato di questo decreto, svalutando il proprio patrimonio calciatori nel bilancio al 30 giugno 2003.
Ora, tutte le società che hanno utilizzato il decreto salva-calcio avrebbero avuto, in assenza dell’agevolazione contabile prevista dal decreto, un patrimonio netto negativo (con l’unica eccezione della Lazio, che era già sott’acqua anche pre-decreto…). Un patrimonio netto negativo (quindi, per definizione al di sotto del minimo di legge) avrebbe determinato automaticamente l’applicazione dell’art. 2447 del codice civile, imponendo ai soci una “indigesta” ricapitalizzazione.
L’importo delle svalutazioni effettuate ai sensi del decreto salva-calcio è davvero impressionante. E rende bene l’idea di come la pratica delle plusvalenza fittizie avesse raggiunto livelli folli. L’Inter, con 319,3 milioni di euro, primeggia nel campionato delle svalutazioni (un altro titolo vinto meritatamente dagli onesti di Via Durini). Ma anche le altre big si sono difese egregiamente. Milan: 242 milioni di euro. Lazio: 191,6 milioni di euro. Roma 133,6 milioni di euro.
Il decreto salva-calcio ha reso particolarmente interessanti, sotto il profilo del maquillage di bilancio, la vendita dei giocatori svalutati. Infatti, la svalutazione viene ripartita su dieci anni, mentre la plusvalenze realizzata sulla cessione è rilevata subito ed integralmente a Conto Economico. Anche in questo caso, la società di Via Durini si rivela imbattibile. La vicenda di Crespo, infatti, è molto istruttiva. Il valore contabile dell’attaccante argentino nel bilancio dell’Inter al 30 giugno 2002 era di 38 milioni di euro. L’anno successivo, la società del petroliere ambientalista si è avvalsa, come visto in precedenza, del decreto salva-calcio. Il valore di Crespo è stato portato da 38 a 4,45 milioni di euro, con una svalutazione quindi di oltre 33 milioni (da ripartire su dieci anni). Pochi mesi dopo, Crespo viene ceduto al Chelsea per 24 milioni di euro, con conseguente maxi-pusvalenza di quasi 20 milioni… Anche con Cannavaro gli onesti di Via Durini hanno utilizzato il medesimo schema, svalutando il calciatore per poi cederlo (alla Juventus, nell’ambito del famoso scambio alla pari con Carini) con una meritata plusvalenza.
E la Juve dei diavoli Moggi e Giraudo? Non si è avvalsa (così come la Sampdoria) del decreto salva-calcio. Per un motivo molto semplice. Non avendo sostanzialmente partecipato al campionato delle plusvalenze fittizie, la società non si è trovata a dover “fronteggiare”, a differenza di altre squadre dalla specchiata onestà, un parco giocatori contabilmente dopato.

Pubblicato su MAGAZINE BIANCONERO nr. 9 del 21/2/07

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