(Alla larga dal Doblò, molto meglio un Berlingò)
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La prima parte dell'intervista del Team Ju29ro a Piero Ostellino è on line
32 domande e 32 risposte di un grande Giornalista Juventino
Oggi le risposte alle prime diciotto domande
Giovedì 10 luglio, la seconda parte con le altre quattordici
Chi è Piero Ostellino
Piero Ostellino, editorialista di punta del Corriere della Sera e penna tra le più apprezzate del panorama giornalistico odierno, è stato direttore del quotidiano milanese tra il 1984 e il 1987.
Scrive per il Corriere da ormai 41 anni.
Corrispondente da Mosca e Pechino, durante gli anni della Guerra Fredda, è un profondo conoscitore dei sistemi politici comunisti.
Di orientamento liberale, ha fondato nel 1963 il Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi di Torino, di cui è ora presidente onorario.
Ha diretto dal 1990 al 1995 l’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) di Milano. Autore di numerose pubblicazioni, è stato insignito del premio Campione d'Italia e del premio Saint-Vincent.
Ma, soprattutto, è uno Ju29ro. Un collega, insomma.
Rancoroso al punto giusto.
Ovviamente, tifoso di Serie C, secondo la classificazione del presidente (facente funzioni di Franzo) più gemellare che ci sia.
Ecco alcuni suoi interventi a gamba tesa sul bananeto calcistico (clicca sul titolo per andare all'articolo):
4. Ha scritto assieme a Christian Rocca la prefazione al libro di Pasta e Sironi "Juventus, il processo farsa", di cui vi avevo parlato in un precedente post (clicca qui).
Le prime 18 domande (con relative risposte)
1. Cosa significa per lei la Juve?
Diciamo che è il primo amore, perché sono diventato Juventino quando avevo sei o sette anni, quando nella Juventus giocavano ancora Vycpalek, Depetrini, Rava, Korostolev, il primo Boniperti, Parola, insomma, diciamo così, la vecchia Juventus.
Quindi è stato per me il primo amore, prima ancora di avere, come dire, un amore di natura affettiva e sentimentale.
2. Ricorda perché è diventato Juventino e può rievocare il primo ricordo bianconero?
Io credo che Juventini si nasca, credo che lo dicano persino San Tommaso o Sant'Agostino, dicendo che l'uomo è toccato dalla grazia divina: ha la fede se è toccato dalla grazia divina.
Io sono Juventino, perché sono stato toccato dalla grazia divina.
3. Qual è la gioia più grande che le ha regalato la Juve e quale la maggiore tristezza?
La gioia più grande: tutti gli scudetti, uno dopo l'altro.
La più grande tristezza è l’ingiustizia perpetrata da una giuria creata ad hoc, che ha emesso una sentenza che interpretava un diffuso sentimento popolare, cioè una sentenza fatta al bar sport invece che in un tribunale. Una cosa che può succedere solo in questo paese.
4. Lei che ha conosciuto da vicino l'Avvocato e suo fratello, cosa ci può raccontare della loro passione per la Juventus? Era veramente così profonda ed esclusiva come appariva a noi tifosi?
Era una passione vera, profonda, forte, esattamente come la mia, con la sola differenza che loro ci mettevano i soldi ed io soltanto il tifo.
Ma era una passione vera e profonda: l'Avvocato Agnelli era un autentico tifoso, ma non solo un tifoso, e così il Dottor Umberto. Dei grandi conoscitori del calcio, amavano il calcio, e per questo erano tifosi della Juventus.
5. Qual è, invece, il grado di Juventinità di John Elkann, l'erede designato dall'avvocato, al quale vanno l'onore e l'onere di gestire anche la squadra più amata dagli italiani?
Beh, io ho simpatia per questo ragazzo, perché nei suoi confronti tendo ad adottare, almeno per quello che riguarda la Juventus, quel famoso detto napoletano, "a fessa in man’ a 'e creature" ... Io ho l'impressione che la Juventus sia una cosa troppo grande, nella sua storia, nelle sue dimensioni popolari, nella sua forza, per essere gestita da un ragazzo intelligente, per bene, ma sicuramente "una creatura", come direbbero i napoletani.
6. Quando ha letto e ascoltato le intercettazioni di Luciano Moggi, cosa ha provato? In quei nastri c'era solo quello che c'era da aspettarsi intercettando un alto dirigente di una squadra di serie A, o altro?
Moggi faceva quello che io ho poi scritto anche sul Corriere della Sera, era un uomo di relazioni.
Lei crede che il capo delle relazioni esterne della Fiat, della Vodafone, o di qualche altro grande gruppo internazionale, non si comporti allo stesso modo?Cioè, crea una rete di relazioni. Questa rete di relazioni, e questo modo di fare relazioni, è persino studiato nelle università americane.
Io Moggi l'avrei fatto presidente della FIGC: così, al successo dei Campionati del Mondo di due anni fa, Blatter sarebbe venuto a premiare gli italiani, invece di non venire.
7. Allo scoppio di Calciopoli, poche voci di Juventini autorevoli, tra cui la sua, si levarono a difesa della Juventus. Per contro, nessun non-Juventino ha avvertito l'esigenza morale di dissociarsi dal clima di linciaggio di quei giorni. Qual è il motivo?
Perché siamo un popolo di conformisti, perché ci adagiamo sul conformismo, sul politicamente corretto (si diceva questo) e, siccome il moralismo prevale sulle regole del gioco, tutti hanno aderito ad una formula moralistica, in funzione anti-Juventina, per odio viscerale nei confronti della Juventus o anche soltanto per imbecillità.(...)
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